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Il sacrificio. Una rinuncia anti-romantica

Il sacrificio. Una rinuncia anti-romantica
  • PubblicatoLuglio 31, 2023
Tempo di lettura: 2 minuti.

È sufficiente essere nati da pochi giorni per dar prova all’esistenza del sacrificio. Pensiamo a un neonato. Per lui, smettere di piangere -nella misura in cui il pianto si qualifica come l’unico mezzo mediante il quale si pone in contatto con il mondo- si può considerare uno tra i sacrifici più comuni e di assoluta necessità. Gli consente di rifiatare, permettendo ai polmoni il rientro a una regolare respirazione, magari a discapito di un ottenimento di cibo. Ma questo tipo di sacrificio, fisiologico e istintuale, primordiale e ineluttabile, chiarisce solo la nostra predisposizione a esso, trovando un posto nella narrativa medica, non in quella socio-comportamentale.

Il sacrificio, per come lo si intende nell’uso comune, fonda invece le sue radici nelle trame sociologiche e, prima ancora, religiose. Richiamato all’ordine quotidiano, il sacrificio è una pratica che rimanda alla buona condotta, alla rinuncia di qualcosa che permetta di guadagnare un premio, di realizzare un’aspettativa, o di riuscire a compiere un sogno solitamente espresso in caratteri morali. Ne esperiamo a bizzeffe ma, scartando quelli stretti alla mera sopravvivenza, restano quelli che scegliamo in modo conscio e ai quali ci sottoponiamo più o meno a fatica. Vicoli tortuosi, che si percorrono a stenti, ma che restano strade senza alternative, inderogabili.

Molti sacrifici hanno a che fare con doveri ordinari. Il lavoro, per esempio. Quanti straordinari obbligati dal capufficio ripagheranno mai le ore sottratte alla famiglia? Altri, comportano capitali meramente sentimentali. Quale spinta sacrificale travolgerà una donna che scopre di essere incinta? Le sarà mai restituito quell’investimento energetico che la condurrà a ridimensionare la propria disponibilità sociale e lavorativa?
E il sacrificio di un uomo innamorato? Nel vivere il più alto grado di passione -che lo consegna senza riserve alla propria amata- avrà il suo appagamento eterno? Potrà godere di un amore per il 
quale ha deciso di compiere innumerevoli rinunce?

Anche in amore, entrano in gioco i drastici indici di una serie di privazioni. Anche un sentimento come l’amore deve assoggettarsi alle regole del sacrificio? No, quando c’è amore il sacrificio perde il suo statuto ontologico. Per una ragione sostanziale: è un sentimento fatto del materiale del dono, del darsi senza una causa razionale, senza un tornaconto. In altri termini, l’amore deve essere esente da ogni azione che non sia scaturita dal desiderio. Senza desiderio non c’è amore. Così come non c’è amore se interferisce il sacrificio, la legge del dovere.

Persino Agostino, ne “Le Confessioni”, esamina l’agire di chi fa del bene come un agire non buono, se fatto controvoglia. Un comportamento si deve considerare a partire dall’intenzione, dalla volontà e dal desiderio, specialmente in amore. Uno sguardo antisacrificale, anche per un filosofo che abbraccia molto del dettame cristiano, religione che interpreta la parola di Cristo per costruire un solido altare di rinuncia, abolendo la più sincera parabola della misericordia e dell’amore.

Amore, che sempre dev’esser letto come un dono, mai come un sacrificio. E la sua gloria, il grande trionfo di chi ama.

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