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Evaristo Beccalossi con Eleonora Rossi: la mia vita da numero 10

Evaristo Beccalossi con Eleonora Rossi: la mia vita da numero 10
  • PubblicatoGennaio 3, 2024
Tempo di lettura: 2 minuti.

Lui, nato nel 1956, è famoso soprattutto per estrosità e imprevedibilità nelle giocate, una vera e propria rappresentazione simbolica del mondo calcistico il cui riverbero è tuttora presente in vari settori della cultura di massa (musica, teatro ed altro).

Lei, nata quasi alla fine del secondo millennio, è determinata e capace, soprattutto quando parla e scrive di sport: ha condotto e ideato programmi televisivi in campo sportivo, trattando anche temi complessi con brio e originalità.

Lui, Evaristo Beccalossi, ha affidato a lei, Eleonora Rossi, i tanti ricordi della sua vita, che sapientemente congegnati sono diventati un piacevole volume pubblicato nel mese di dicembre scorso e benevolmente accolto da critica e lettori.

La mia vita da numero 10 (Diarkos, 240 pagine, 19 euro) parla tanto di calcio, del fascino che quel numero magico esercita ancora oggi nell’immaginario collettivo, fascino tanto ipnotico che i  tifosi del “Becca” riuscivano a perdonargli anche passaggi a vuoto perché subito dopo compensati da magie improvvise.

Nei 10 capitoli dell’autobiografia (prefazione di Enrico Ruggeri) Evaristo attraverso la sagace penna di Eleonora, ci immerge direttamente nei campi di calcio, facendoci assaporare suoni, come il boato dei tifosi, od odori, come l’erba bagnata e pesante di domenica 28 ottobre 1979 a San Siro, quando durante il 130° derby della Madonnina, Beccalossi con la sua doppietta e il suo (forse) Sono Evaristo, scusate se insisto, giocherà la partita della vita che lo collocherà nell’Olimpo dei nerazzurri.

Ma il volume è anche altro: attraverso aneddoti ed episodi mai svelati, emerge la vita ricca di sfide (anche lavorative), di divertimento, di amicizie (Franco Califano per tutti) che Beccalossi ha vissuto appieno e consapevolmente, senza nostalgia ma con riconoscenza. Riconoscenza che parte dalle semplici origini: la famiglia di Brescia (città operosa e solidale), i momenti di affetto, i pranzi domenicali con parenti e amici, e poi l’amore incondizionato per l’Inter, ma anche il ricordo del calore del pubblico pugliese, quando terminerà  la carriera da professionista col Barletta.

La narrazione ci restituisce, così, l’uomo prima ancora che il campione, con vizi, virtù e una forte componente empatica ed educativa come quando nelle vesti di coach esprime riflessioni sull’entità attuale del calcio, oramai lontano da quella dimensione ludica delle origini che dovrebbe essere alla base dello sport, soprattutto nei più giovani che invece sentono con forza le pressioni e le aspettative di adulti e familiari.

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