Chiudere

L’ira. La ribellione della verità nascosta

L’ira. La ribellione della verità nascosta
  • PubblicatoSettembre 26, 2023
Tempo di lettura: 2 minuti.

“In vino veritas” recita il comune detto latino. Un modo di dire nato da uno sguardo semplice, di pura osservazione, che dalla saggia Roma antica ha poi trovato un’ampia risonanza in campo scientifico e un’evidente vidimazione empirica. Del potente carico disinibitorio del vino -oggi potremmo dire dell’alcol- ne parla Orazio nelle sue “Epistulae”. In questo testo si spendono molte parole per trattare il tema dell’ebbrezza, quale strategia per diradare il torbido delle cose nascoste e portare il vero al suo svelamento. In mano ai re, il vino si trasformava in mezzo di tortura per saggiare l’integrità morale di un amico o di un suddito. Un aiuto efficace, per mettere in luce la verità e a nudo i traditori.

Per quanto utile, l’alcol non è di certo il detentore esclusivo dello scardinamento della menzogna. La bugia è un castello di carte che si lascia cadere con un soffio che suona di una passione sferzante. In mancanza di vino, cos’altro potrebbe scatenare la perdita del controllo che lascia incustodita la verità nascosta? Un impeto, un movimento dell’animo inafferrabile e imprevedibile: l’ira. A volte, anche la rabbia, quella cieca e incalcolabile scatenata da qualcuno o da qualcosa, apre il mondo celato del non detto e determina l’inondazione sincera di tutto ciò che volutamente si cercava di non mostrare. Un nascondimento che -appare ovvio- è sinonimo di menzogna.

L’ira è dichiaratamente refrattaria alla fedeltà verso ciò che si desidera tenere segreto, nonché impermeabile alla sensibilità. Scopre, rivela, vuota il sacco. In alcuni casi, finisce per dire anche troppo. Ma gli esiti dell’ira chiariscono l’importanza che la avvolge. Questa passione ingovernabile, nella misura in cui diviene possibilità di generare il vero, si avvicina a una dimensione comunicativa di estremo valore. In accordo con Aristotele, si potrebbe così affermare che esiste un’ira giusta. Nella sua “Etica Nicomachea”, il filosofo utilizza un fine setaccio per estrapolare una dignità all’ira. Questa, infatti, deve poter avere luogo e sfogo, ma solo e soltanto quando trova un giusto motivo; se nasce non da rancore o vendetta ma dallo schietto desiderio di protezione per un torto subito.

Certamente sarebbe meglio auspicare di incontrare una verità che non si serva di impulsi collerici. Parlare in modo franco, autentico, senza spinte passionali, mossi principalmente dal rispetto. Come del resto insegna il buon Foucault, il quale, per potenziare l’etica della verità autentica e spontanea, ha ridefinito la cosiddetta “parresia” -termine nato ad hoc per designare l’atteggiamento virtuoso di chi è sincero- aggiungendo, al significato politico della parola, un taglio etico importante: l’esortazione al coraggio e all’onestà di dire il vero.

Lascia una Risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *